di Valentina Barletta –
In questo articolo capiremo come mai Giacomo Leopardi era cieco ma soprattutto sfigato.
Leopardi era un gobbo cieco, sfigato, depresso che ha scritto l’Infinito.
Questa frase piena di ignoranza venne detta dalla mia docente di letteratura delle scuole medie quando iniziammo a studiare ” L’infinito” di Giacomo Leopardi. Ovviamente, la cosa assurda, è come una signora laureata che avrebbe dovuto insegnare letteratura italiana ai suoi alunni si sia dimostrata più idiota del Principe Miskyn di Dostevskij. Ma torniamo a noi, cosa significa Poetica e Poesia?
La poetica, secondo gli studiosi e secondo i dizionari, non è altro che la disciplina che si occupa di analizzare sotto un punto di vista teorico, descrittivo e sistematico non solo la Poesia, bensì tutto ciò che in realtà dovrebbe essere Arte. La Poesia invece ha la funzione di renderci immortali facendoci trascrivere ogni singolo istante della nostra vita mediante carta e penna.
Del Resto, anche Giacomo risulta ancora vivo tra i banchi di scuola. Basta solo pensare al suo zibaldone dei pensieri, a quel suo libro che racchiude la sua gioia di vivere e la sua felicità.
Ma perché Giacomo era cieco e sfigato?
Giacomo era diventato cieco perchè la sua immensa passione per la lettura gli danneggiò la vista e la schiena tanto da renderlo gobbo, e tutto questo, per colpa dei suoi dodicimila libri da lui studiati, quei libri che radiosi come il sole gli spensero la vista, accecandolo per la sua sete di cultura e di sapere, sfigato invece , perché la sua genialità mai compresa da nessuno ha fatto sì che il suo precettore se ne andasse sentendosi dire “Non ho piu niente da insegnarti”.
Ovviamente, quel gobbo, non era nulla di speciale dato che aveva semplicemente studiato da autodidatta a soli dodici anni Greco, Latino, Ebraico. Giacomo era un poeta depresso, perché a scuola insegnano la sua poetica mediante il pessimismo cosmico.
Pessimismo? Ma quale? Avete letto la poesia A Silvia?
Silvia rappresentava per Giacomo la speranza e la voglia di vivere, cosa che forse voi docenti e menomale non tutti, dovreste spiegare ai vostri alunni. Ma del resto, se la Sera del Dì di Festa e il Sabato Del Villaggio esprimevano un concetto di felicità illusoria, ed estrema depressione, Giacomo si sarebbe già suicidato invece che combattere con la poesia per vincere la sua sofferenza.
Concludo questo articolo con un omaggio al Professore Alessandro D’ Avenia, docente di letteratura italiana presso il Liceo Classico San Carlo di Milano:
Cari docenti, leggetevi il libro L’arte di essere fragili, Come Leoaprdi può salvarti la vita.
E Quindi? Quindi la Poesia non è altro che la trasformazione della sofferenza in speranza e felicità, proprio come ci ha dimostrato Giacomo. Per questo i docenti utilizzano la Poetica in una maniera completamente errata quando parlano di lui.
Se veramente la Poetica fosse lo strumento che consente di analizzare l’Arte sotto un punto di vista oggettivo, i docenti dovrebbero affermare che la filosofia Leopardiana non si basa sul pessimismo cosmico ma sulla razionalità.
Docenti, alunni, ma non avete mai letto la poesia di Ungaretti intitolata Destino?
Volti al travaglio come una qualsiasi fibra creata, perchè ci lamentiamo?
Se la vita fosse bella come mai il neonato piange una volta venuto al mondo?
Per questo ho scritto questo Articolo, per dimostrare la realtà dei fatti e di come viene insegnato Leopardi A scuola, ovvero in una maniera totalmente INAMMISSIBILE.
Giacomo Leopardi non diceva altro che la verità, e per combattere la Natura Matrigna usava l’ Arma della Poesia, quell’arma in grado di trasformare la condizione sofferente del genere umano in una pura felicità e gioia di vivere.
Non esisterebbe l’essere umano se non fosse sorto L’universo, l’infinito… E Giacomo ce l’ha fatta, ha reso il suo passato l’infinito in cui noi viviamo.