di Geremia –
Del rapporto tra oggetto-libro e lettura digitale si è scritto e detto molto, ancora molto si scriverà e dirà.
Le opinioni divergono, le sensazioni e percezioni come normale rappresentano in modo puro e incontaminato le diverse abitudini e gli approcci.
Ho riflettuto su questo però pochi giorni fa quando, girovagando in una libreria dopo molto tempo causa lockdown – che sensazione splendida, a proposito – mi sono imbattuto nella sezione per i più piccoli. Una sezione che, lo ammetto, tendo a visitare sempre: un po’ per passione personale verso la scrittura per ragazzi, un po’ perché vi si trovano sempre spunti interessanti su come possa funzionare la comunicazione. Più di quanto si pensi.
Devo dire, senza particolare sorpresa, che l’originalità e le idee degli scrittori per bambini stanno raggiungendo vette davvero interessanti: la fattura dei disegni, lo stile delle forme verbali, il superamento dei preconcetti sulla presunta semplicità dei bambini, graziose sperimentazioni in ambito tattile e d’interazione.
Allora mi è venuto in mente un pensiero semplice, lineare, forse pure banale. Per quell’età, il libro “vero” è troppo importante perché entra nella memoria e fa da colata nelle fondamenta del futuro.
Su un tablet sono infinite le modalità interattive, sicuramente anche più complesse, più divertenti, probabilmente più stupefacenti. Ma passano, fanno parte del fiume.
Un libro tattile, con la sua copertina, il suo titolo, le sue figure che si delineano nel cuore del bambino, poi del ragazzo e poi dell’adulto, restano perché resta quell’oggetto.
E forse questo è un elemento bellissimo che non passerà mai.
E forse ci permettiamo pure di fare un appello: non buttate mai i libri dei vostri figli, neanche quelli più infantili. Non fatelo mai.