“L’infinito” di Leopardi. Non è mai troppo, parlarne.

di Claudia Granato – 

 

“La densità del vuoto”

Postumo a ciò che si dice su Leopardi, vorrei soffermarmi su un’analisi più accurata di ciò che l’Infinito ha da donarci a livello universale. Tale componimento poetico è stato edito nel 1818. È insito nei Canti, poiché può essere considerato un’ode a ciò che può essere tutto o nulla. Il tema del nulla ricorre spesso tra i pensieri del piccolo Giacomo, il quale cerca una definizione netta di vita.

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ ultimo orizzonte il guardo esclude.”

Analizzando questi versi si ravvede il sentimento di abbandono verso un infinito che diventa finito, rispetto alla natura. E ciò che rappresenta la finitezza è l’ostacolo che l’uomo incontra, quando il suo sguardo, non riesce a percepire quell’oltre, in cui la siepe si racchiude. Ponendo la siepe come un divario tra “il reale” ed “l’irreale”, ci si rende conto, in modo sommario a ciò a cui tende quasi sempre l’uomo ossia la bellezza.

“Ma sedendo e mirando, interminati Spazi al di là di quella, e sovraumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura.”

Leggendo questo capoverso ed unendolo ad un unico respiro, si può carpire, l’innovazione di voler strappare le regole classiche per donare alla poesia, un volto unanime alla vita. Si definisce il livello interiore come ciò che può delineare il nostro mondo rispetto alla paura di essere diversi –”Il cor non si spaura”- o addirittura sbagliati ed è per questo che si ricerca il silenzio della propria quiete.

“E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morti stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei.”

Sarebbe sempre bello lasciarsi andare in quel vortice che ci unisce nell’universo e che si chiama “natura” ed è questo che l’autore provava, un senso di inadeguatezza al vuoto. Per Leopardi, la natura ha una doppia valenza: è motrice del mondo ma essa può essere benevola o maligna. In molti suoi scritti richiama la natura come il principio fondamentale di un pensiero più profondo anche se d’apparenza, potrebbe sembrare pessimistico o semplicistico. Cercava nel senso del nulla o di ciò che è dubbio, la movenza per essere amato e curato.

“Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare”

Il tema del naufragio riporta alla luce, il senso di vuoto che viene dato alla profondità del nulla ossia l’eternità. Nell’immensità dell’eterno, il viandante ritrova il suo significato nel caos. Come ogni uomo che ha paura della morte o della densità del vuoto. Come d’altronde Leopardi.

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