“Tesorino”. L’intervista della Fallaci e Fellini

Riportiamo di seguito un pezzo di una nota intervista del 1963: lo scambio è tra Oriana Fallaci e Federico Fellini.
Fa parte di quell’archivio di bellezza e piacere che ogni tanto ci piace rispolverare.

 

ORIANA FALLACI. Allora facciamoci coraggio, signor Fellini, e parliamo di Federico Fellini: tanto per cambiare. Le costa fatica, lo so: lei è così schivo, così segreto, così modesto. Ma parlarne è nostro dovere: anche di fronte al paese. Ancora un poco e la storia della sua vita, il significato della sua arte diventeranno materia di insegnamento in tutte le scuole della repubblica: come la matematica, la geografia, la religione. I libri di testo, non esistono già? Federico Fellini, Storia di Federico Fellini, Il mistero di Fellini… Nemmeno su Giuseppe Verdi s’è scritto tanto. Eh, sì: a pensarci bene lei è il Giuseppe Verdi dell’Italia d’oggi. Vi assomigliate perfino: nel cappello. No, la prego: perché nasconde il cappello? Giuseppe Verdi lo portava proprio così: nero, a tese larghe…
FEDERICO FELLINI. Disgraziata. Screanzata. Ballista. Maleducata.

Perché? Anche Verdi era bravo, sa? Per la prima delle sue opere accadeva esattamente quello che accade per le prime dei suoi film. Io credo che solo per 
La Traviata gli italiani abbiano fatto il fracasso che hanno fatto per il suo Otto e mezzo: con le poltrone prenotate da mesi, le signore con l’abito nuovo, i critici che intrecciano corone di alloro…
Già. Come se Lo Sceicco Bianco non fosse stato un insuccesso clamoroso, e Il bidone non fosse stato accolto con freddezza glaciale, e La strada non avesse ricevuto sghignazzate e insolenze. E La dolce vita? Cosa credi, ragazzi’, che abbia avuto solo lusinghe ed elogi?

Oddio! A Milano volò uno sputacchio. A Roma venne la Celere. Ma anche a Verdi gettavano ogni tanto verdura e uova fresche. Signor Fellini! Non sarà mica preoccupato? Mi scusi, sa: ma a vederlo così placidamente disteso sul letto, con la sua aria da gatto soriano, mi sembrava tanto tranquillo…

Son tranquillissimo. Dopotutto ho fatto quel che avevo in testa di fare: riesco a non preoccuparmi troppo che il film possa piacere o no. L’attesa non mi lascia indifferente, è ovvio. Ma non mi emoziona nel senso che puoi credere tu: l’ansia e la trepidazione che provo sono le stesse di quando feci il primo film. Voglio dire che i successi precedenti non mi danno l’affanno di pensare: aiuto, ora pretendono da me il triplo salto mortale. Non è presunzione se ti dico che l’unica inquietudine può venirmi dal timore che il film sia equivocato: non certo dall’idea che la gente si aspetti da me più di quanto io possa dare. Perché dovrei preoccuparmi di non deludere quei tipi che mi guardano come una soubrette che ogni volta deve salire un gradino più alto ed esibire altre piume?

Signor Fellini, guardiamoci negli occhi: per uno cui non importa un bel niente lei ha fatto abbastanza rumore. Tutto quel mistero sulla trama perché la gente morisse di curiosità, quel fare a nascondino coi giornalisti, quel tacere perfino agli attori la parte che stavano recitando, insomma quella segretezza che era diventata come gli occhiali di Greta Garbo…

Ah sì? Ognuno paga lo scotto dell’ambiente in cui vive: è il cinematografo che traduce tutto in forme volgari. Tesorino mio: sono abbastanza abile da inventare storie e se avessi voluto ricorrere ad accorgimenti pubblicitari… Se non ne parlavo era perché non sapevo che dirne: nemmeno oggi so cosa dirne. Non è un film di cui si possa raccontare la trama. Quando mi chiedono la trama io mi stringo nelle spalle e rispondo ecco, fai conto che una sera incontri un amico in vena di confidenze e questo amico ti narra sgangheratamente, disordinatamente, quello che fa, quello che sogna, i suoi ricordi d’infanzia, i suoi disordini sentimentali, le sue incertezze professionali, e tu lo stai a sentire, e alla fine hai ascoltato una creatura umana, e forse viene voglia anche a te di cominciare a raccontare qualcosa… Capito? È una chiacchierata confusa, caotica, una confessione fatta con abbandono, a volte perfino insopportabile…

Sì, in fondo c’è qualcosa di proustiano. Proust tradotto in cinema puro.

Proust? Mah! Io sono molto ignorante… Che vergogna eh? Una sana, vasta, solida, coriacea ignoranza. Non so nulla di nulla. E il discorso non vale solo pei libri. Vale anche pei film.

Lo so, lo so. Lei non va a vedere che i film di Federico Fellini. Quelli degli altri mai, vero?

È così vero che ho il coraggio di dirlo. Non riesco a organizzarmi per il rituale che esige lo spettacolo uscire di casa, salire in macchina, sedersi fra tante persone, star lì a farsi solleticare da emozioni collettive. Se esco di casa per andare al cinema o a teatro, stai sicura che durante il tragitto vedo qualcosa che mi interessa di più. Se poi vedo il film di un altro e mi accorgo che quest’altro ha realizzato una cosa che volevo realizzare io… ci resto male. Certo ho visto i film di Charlot: che artista favoloso. Ma per i quarantenni come me Charlot appartiene alla mitologia della nostra vita: il babbo, la mamma, la maestra, il prete, Charlot. Charlot… l’ho incontrato una volta a Parigi. Aveva visto La strada: mi fece, credo, complimenti a mezza voce. Mi parve piccolissimo, con due manine piccine piccine. Parlava un francese che non capivo, lui non capiva il mio inglese: mi sentivo a disagio, in soggezione…

Lasciamo stare Charlot: siamo qui per Fellini. Il protagonista di 
Otto e mezzo
L’hai visto? T’è piaciuto?

Certo che m’è piaciuto. Che film triste, però. Tutti quei vecchi, tutti quei preti, quell’aria di disfacimento e di morte… Sono morti anche i vivi, in quel film.
Ma allora hai capito poco, non è un film triste. È un film dolce, aurorale. Malinconico, semmai. Però la malinconia è uno stato d’animo nobilissimo: il più nutriente e il più fertile…

Se le fa piacere: diciamo pure che ho capito poco.

Tesorino, hai fame? Hai sete? Vuoi sdraiarti un po’?

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