Racconti dell’Alba. “Aquilam Sequor” di L. Lercari

di Linda Lercari –

Eccola! Maestosa, nel cielo, oltre le nuvole, oltre ogni umano timore. Eccola! Anelante, fremente, seguo il Suo volo. Accanto a me, tristi, oscure sagome seguono spogli tracciati, monotoni, grigi. Non io.

Li vedo: il loro sguardo spento, le loro membra rigide, muovere passi lenti, pesanti. Incespico. Cado. Affannato, scarmigliato, mi rialzo, sospiro. Nessuno mi ha dato una strada. Cammino sull’erba, sui cigli dei viali di campagna, guado i fiumi e scalo le montagne. Spesso corro fra aride distese, steppe sconfinate, pascoli immensi o materni campi.

Sempre seguendo Lei, il mio senno, la mia follia: L’Aquila. E’ nata per me e io per Lei. Seppur separati siamo un solo Essere.

Qualche sagoma mi guarda, mi accenna un sorriso. No! Non posso fermarmi. L’Aquila non possiede una via disegnata, facile, scialba. Essa ha il cielo e l’infinita, terrificante, libertà Come Lei, per un destino accettato e mai compreso, non ho strade.

La seguo.

Quando sono troppo stanco si ferma. Dall’alto d’un ramo ammicca gentile. Nel meridiano aere echeggia il Suo richiamo.

Aspettami.

Un grosso agnello ancora caldo mi cade accanto. L’Aquila mi nutre, l’Aquila è la mia vita.

Riprendo la corsa.
Lontana, appena visibile, vola nel Sole.

Lacero, spossato, non posso continuare a seguirla. Per poco, solo per poco, invidio le sagome. Han vita sicura nonostante la noia. Alzo gli occhi. Vicina, la mia Amica, il mio tormento, scuote furente le maestose ali. Le sagome sono maledette: da sole si sono dannate.

Infine la notte.
Atterra. S’avvicina. Fingo di dormire perché mai, da sveglio, potrebbe toccarmi. La scorgo posarsi su di me, aprire le grandi ali e coprirmi. L’Aquila mi protegge. L’Aquila, vigile, fiera, col forte becco uccide i maligni folletti notturni e le fatate, crudeli creature degli incubi. Vorrei poterla accarezzare, sempiterna compagna, ma l’oblio, come densa fanghiglia, mi avvinghia, mi soffoca.

Al mattino è già troppo tardi. Veloce solca i cieli.
Ogni giorno è diverso dall’altro e uguale al precedente.
Seguo l’Aquila.

Impossibile contare i luoghi visti e le conoscenze apprese durante il viaggio. Attraverso innumerevoli paesi la mia Guida, il mio supplizio, mi ha trascinato. Ho tentato di chiedere alle sagome, in ogni nazione diverse eppure identiche, di seguirla con me. Invano. Non la vedono, non credono che esista. Per loro non è che storia tramontata, ai loro occhi non sono che un folle.

L’Aquila è la libertà che hanno perso, io sono colui che non ha scelto. Ho solcato i mari del tempo. Nobili imperi, fastosi regni ho visto sorgere e tramontare. Ad assurde, feroci, guerre, pestilenze nauseabonde, ho assistito attonito, perso. Ho visto gli uomini divenire sagome, ma non ho voluto seguirli. L’Aquila mi ha sempre chiamato.

Lei! Impassibile, tenace, ha continuato il Suo volo. Nulla la turba o la distoglie dal fendere l’aria. Non le interessano le umani sorti: solo la mia. Ma quanto d’umano, ancora, c’è in me? Quanto nelle spente sagome che mi circondano?

Devo raggiungere l’Aquila. Solo Lei ha le risposte.
Una fitta lancinante.
La Morte, l’Invisibile Arciere, ha scagliato, alfine, il suo gelido dardo.

Cado.

In ginocchio tendo le braccia. L’Aquila, d’un tratto, s’arresta. Plana. Sente il mio dolore, la mia disperazione. La vedo osservarmi preoccupata, allibita.

Oh, Aquila, dopo tutti questi secoli non ho più nulla da donarti. Invano son trascorsi i millenni.
Muoio, oramai…
Attorno a me le indifferenti sagome continuano il loro apatico tragitto su binari di memoria.

L’Aquila mi è accanto, adesso. Sorrido felice. Posso quasi toccarla. Stendo una mano e le sfioro una penna vellutata. Un diamante cade al suolo: una lacrima dell’Aquila.

Un tuono terribile. La Terra ruggisce. D’un lampo, senza gemiti, bruciano le sagome. Dai mucchi carbonizzati, liberi dal loro stesso incantesimo crudele, uomini nuovi si osservano l’un l’altro. Il futuro, adesso, è tutto da scoprire. Esultano, s’abbracciano, immemori di un passato di cui erano i solo colpevoli. Forse creeranno nuove, bieche strade, forse torneranno sagome: impossibile saperlo.

Nessuno, nell’euforia generale, nota il misero cadavere riverso né, tanto meno, due Aquile silenziose allontanarsi nel crepuscolo.

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