Nebulae.
Una rubrica di Andrea Sciullo
Hai presente quella sensazione di arrendevolezza che ti spinge lontano e ti porta via da te stesso come la marea scartavetra gli scogli?
Ebbene, non si sa bene in che modo, ma tutt’un tratto ti rendi conto di essere triste, di star urlando nel silenzio di una tacita riflessione. Non piangi. Non ti disperi.
È il mondo che ti ha portato a sentirti così: una moda, una persona, un evento, una vita..
Respiri. E ti porti al viso le mani piene di calli. Le tieni socchiuse come volessi catturare l’acqua di un ruscello. Fanno male. Ma quel dolore, lo sai, è per te stesso; non sai perché, ma ti rammenta al turbinio di pensieri che tu sei qui. Che solo tu, alla fine, conti davvero. Che non c’è bisogno di alcuna tacita riflessione.
A quale respiro hai smesso di pensare a te?
Non te lo ricordi.
Ti ripeti di star tranquillo. Ti ripeti che non è colpa tua. Convinci la vocina nella tua testa che non c’è bisogno che ti rammenti quando ti ammoniva. Quand’era contraria al piccolo brio di speranza che nel frattempo ti sussurrava: “Stavolta potrebbe essere diverso..”
E ora sei di nuovo qui, con ancora addosso quest’incomprensibile tristezza.
Circumnavighi te stesso. Circumnavighi il tuo mondo alla ricerca di un motivo, lo visiti come il più curioso dei turisti. Scruti, guardi, indaghi, quando nel tuo cuore, lo sai, hai già la risposta.
Persisti a spingerti sempre più a fondo, insisti attraccato al tuo porto sicuro, e pian piano adombri te stesso nel tuo geloso ruolo di osservatore. Non te ne sei accorto, ma il tempo è passato, le invidie e i malesseri non sono mutati e il tuo respiro ha finito per disconoscerti.
Sei di nuovo qui, davanti ad un paesaggio senza pericoli, e la risposta ormai ti è chiara: non è il mondo ad essere cattivo, sei tu ad aver paura di lui.