A cura di Amelia Sofia Marconi
E.P.I.C.A (Equipe di Psicoterapia e Indagine su Casi Alternativi) è un insieme di immaginari incontri di una equipe di psicoterapeuti: sperimentazioni tra parole e psiche.
Mentre salgo le scale che mi portano in studio, controllo l’ora. Sono in ritardo, come al solito. I miei pensieri si muovono veloci alla ricerca di una scusa plausibile per il mio ormai quarto d’ora di ritardo. Telefonate inaspettate, semafori rossi, emergenze intestinali… tutte già usate. Dopotutto quando il ritardo è cronico la maggior parte delle bugie è già stata utilizzata.
Davanti alla porta blindata bianca che conduce alla sala d’aspetto, mi rendo conto di quando siano stupidi i miei pensieri. Il ritardo è un mio tratto di personalità. Prima lo accetto, meglio starò. Mi dico ed entro.
– Alla buon’ora! – mi ammonisce subito Sergio, e io non posso fare a meno di sprofondare nel mio abisso di inadeguatezza. Cosa ti eri appena detta Martina?
– Ti sta prendendo in giro, non lo consoci ancora? – mi spiega Lucia, probabilmente cogliendo sul mio viso i miei pensieri – ormai lo sappiamo che prima di dieci minuti non arrivi.
– Tranne quando hai tu un caso da proporre – puntualizza Sergio, con un tono che non so se interpretare come serio o ironico, ma credo che lo abbia fatto apposta, e non mi resta che ammettere l’evidenza.
– Se non avete necessità particolari, avrei bisogno di un confronto su Matteo – interrompe la mia lapidazione Lucia.
E i miei occhi cominciano a vagare nella stanza, mentre nella mente cerco di recuperare il file di Matteo. Ma non trovo nulla. Incontro lo sguardo di Sergio, che appare altrettanto vuoto.
– David Bretson? – aggiunge Lucia per aiutarci a ricordare.
– Chi? – chiedo subito io, questi nomi non mi comunicano nulla.
Ah, il comandante? – chiede subito Sergio.
– Lui – conferma Lucia, ma io ancora non riesco a ricordare.
– Il mio paziente che è un comandante di una astronave – esplicita Lucia come a dirmi: non puoi essertelo dimenticata.
Ed in effetti, non me lo sono dimenticata affatto.
– Cosa ha combinato il comandante? – si interessa a questo punto Sergio.
– Si è innamorato! – ci sbatte così sul tavolo Lucia. E noi non possiamo fare altro che guardarci e condividere pensieri comuni: oh cazzo! La situazione di complica. Oltre a trovare il tutto anche immensamente ironico e folle.
– Lucy, ci faresti un piccolo riassunto? – chiedo io, più che altro per capire quanto preoccuparmi della situazione.
– Allora, David viene da me circa sei mesi fa, perché ha iniziato ad avere ansia sempre maggiore, mai sfociata in attacchi di panico, ma ansia forte, fatica a dormire, aumento dell’emotional eating, negli ultimi mesi aveva preso parecchi chili, e aveva saltato una intera sessione di esami all’università perché non riusciva più a concentrarsi e a studiare.
– Cos’è che studia? – interrompe Sergio.
– È iscritto alla triennale di fisica, teoricamente è al terzo anno, ma è indietro di circa un semestre.
– Ma se non ricordo male l’ansia era nata dal suo ruolo di comandante non dall’università – dico io, mentre nella mente mi riaffiorano pian piano i dettagli del caso.
– Sì esatto, aveva dovuto affrontare la prima battaglia come comandante della sua astronave all’interno della flotta della loro alleanza interplanetaria, di cui ammetto non ricordare il nome. Era emersa tutta l’ansia data dall’insicurezza nel ruolo e dal peso delle responsabilità.
– Come era andata la battaglia? – chiede Sergio con tono tra il serio e il faceto.
– Tutto sommato bene, perché comunque si muovevano in flotta, e lui aveva guidato il proprio equipaggio seguendo i suggerimenti del consiglio dei comandanti, ma soprattutto c’era un ammiraglio che gestiva le fila e quindi si era in parte alleggerito il peso del prendere decisioni. Ma non aveva dormito per notti intere, sia per seguire l’evoluzione della battaglia, sia perché a quel punto l’ansia non lo aveva più abbandonato.
– Di’ un po’ Lucy, sei ormai diventata un’esperta di giochi di ruolo online – si complimenta Sergio
– Ah, sicuramente mi sto facendo una cultura, ma casco ancora in un sacco di errori di ignoranza, e quasi me ne vergogno. Quando lui parla dà molte informazioni per scontato, e ammetto di fare una certa fatica nel seguirlo – ci confessa Lucia.
– Però anche se non sai le cose, glielo puoi sempre chiedere – confermo io
– Ah, sì certo, lui non vede l’ora di raccontarmi e rendermi partecipe delle cose. Un po’ quello che temo è di perdere anche io il contatto con la realtà – e colgo un filo di preoccupazione nella voce della mia collega.
– Credo sia più che normale, nella tua posizione. Per questo ci siamo qui noi – la supporto immediatamente io.
– Ne approfitto subito, perché adesso si stanno complicando le cose. Vi ricordate che avevamo inizialmente ipotizzato di muoverci con lui nel mondo simbolico del gioco di ruolo, per aiutarlo a costruirsi delle risorse utili nel mondo di finzione per poi spostare successivamente lo sguardo nella realtà? – chiede Lucia.
– Sì – conferma Sergio anche per me.
– Bene, la cosa sta funzionando, innanzitutto adesso si lascia chiamare anche con il suo nome vero. Nel corso del lavoro sull’ansia, che ora si è notevolmente placata, è emerso il tema più profondo della solitudine. E, essere salito di grado, lo ha inorgoglito, ma lo ha anche fatto sentire solo: sono cambiati gli equilibri all’interno dell’equipaggio. Se prima era un membro al pari degli altri e insieme avevano complottato per ammutinare il vecchio comandante, quando hanno poi votato lui, si è ritrovato a non poter più contare sullo scambio e l’appoggio degli altri. È diventato il capro espiatorio di ogni difficoltà incontrata e non ha più avuto nessuno con cui confortarsi. Ha faticato ad essere un vero leader. Ed era lì che era emersa tutta l’ansia.
– Beh, direi un ottimo lavoro, se è riuscito a verbalizzare uno stato d’animo così doloroso. – confermo io, iniziando nuovamente a empatizzare con il povero Matteo.
– Il suo problema però è che il mondo virtuale gli era servito per sfuggire da un vissuto di inadeguatezza e solitudine nel mondo reale, e nel giro di un paio di anni si è ritrovato a riprovare esattamente le stesse situazioni. E questo lo terrorizza davvero.
– Beh, ci credo. Il suo piano di difesa si è appena rivelato non solo inefficace, ma anzi pericoloso. E oltretutto non ha ancora un’alternativa – sintetizza in maniera ineccepibile Sergio.
– È riuscito a riprendere con gli studi e gli esami? – chiedo io, cercando di rimanere su un piano di realtà.
– Ho provato a chiederglielo più volte, lui ha risposto sempre evasivo. Ho colto che non ha voluto non rispondermi, ma non ha nemmeno dato una risposta coerente. Il contatto con la realtà è ancora troppo fragile, temo che se lo forzo troppo in quella direzione, lo perdo. – ammette con lungo sospiro Lucia
– Ah, ci credo, questa è una terapia che si deve muovere al rallentatore, devi rispettare assolutamente tutti i suoi tempi. Sembra che comunque qualcosa si stia muovendo – per una volta ottimista Sergio.
Pareva anche a me. Fino all’ultima seduta in cui ha sganciato la bomba di essersi innamorato.
– FINE PRIMA PARTE –