A cura della Redazione
Una vita normale raccontata in curiosi pezzi di mosaico tenuti insieme da un unico collante: Proust.
In una Francia qualunque, il giovane Jacques Bartel si ritrova a leggere l’intera Recherche durante una degenza e non se ne stacca più: da quel momento Proust diventerà il suo eroe, il suo oggetto del desiderio (un desiderio di pura conoscenza…quasi sempre), il suo interesse principale.
Da qui, con sempre vivo senso dell’umorismo, si narra di un Bartel che condivide il proprio strampalato percorso di vita con lo scrittore francese, il quale si affaccia continuamente come un angelo – custode solo delle sue difficoltà – su ogni rapporto umano, ogni decisione da prendere, ogni stimolo.
Il giovane protagonista trova in un’altra persona la propria strada: diventa un ossessionato ricercatore proustiano, in un contrasto netto con gli altri innumerevoli tali che Uras dipinge con sintetico ma funzionale sarcasmo, tutti intenti nel ricercare – Jacques compreso – la virgola della Recherche a cui nessuno aveva fatto mai caso, analizzare la figura in cui nessuno aveva posto attenzione, ricercare la poesia che lo stesso Proust definitiva un errore. Trovare un senso al percorso che si è indicato come proprio, mentre tutto il resto della vita vera se ne scorre liberamente al nostro fianco, urtandoci continuamente come può avvenire in una metropolitana molto affollata. Uras, insegnante francese di origine sarda, racconta la storia di una persona, quindi ne racconta le problematiche, con un ritmo non entusiasmante ma costantemente capace di incuriosire: si tratta di un libro godibile principalmente per la propria capacità di accomodarsi esattamente sul ciglio dell’ironia. Il romanzo ha un andamento circolare a dare un senso all’impresa bislacca di cui si racconta sul finale: la scrittura di un romanzo di stile proprio, viatico per la liberazione di Bartel dal proprio ossessionante eroe – un senso che non è un caso come non lo sono il titolo e non lo sono i conseguenti protagonisti: quello vero e quello che aleggia, con i suoi baffi e le sue stravaganze.
D’altronde, l’autore stesso è uno studioso di Proust che ha scelto di rendere iperbolica e lasciar scivolare nel tragicomico la passione che accomuna decine di studiosi egualmente dispersi su libri consumati e nonostante questo continuamente in battaglia tra loro, per accaparrarsi forse quel successo da dover, eventualmente, comunque condividere con Marcel Proust, come tutto il resto dei propri giorni.
A ognuno il proprio Proust, dunque, mentre i genitori non ci capiscono del tutto, le fidanzate ci lasciano e ci mancano, gli amici ci tradiscono e sorridono, la spinta sessuale ci opprime e perplime.
A ognuno il proprio Proust e i propri tentativi di liberarsene. Nel libro viene abilmente dipinto un Jacques Bartel che non è sicuramente un eroe e si sforza senza troppo riuscirci di essere un antieroe. Un uomo piuttosto debole, con una intelligenza riscontrabile ma che non sembra essere particolarmente utile né sufficiente a garantirsi un tragitto stabile e convinto. Ci accompagna in un libro rapido e piacevole, carico di trovate divertenti – non ultimo l’utilizzo ripetuto del questionario proustiano ai vari personaggi che si avvicendano lungo il racconto – e piccole verità in cui ci si può specchiare, mascherate con incontri e situazioni bizzarre ma capaci di convincerci della propria verosimiglianza, dove tutto è verosimile.