A cura di Amelia Sofia Marconi
E.P.I.C.A (Equipe di Psicoterapia e Indagine su Casi Alternativi) è un insieme di immaginari incontri di una equipe di psicoterapeuti: sperimentazioni tra parole e psiche.
È tutto il giorno che aspetto l’equipe di questa sera. Non mi capita spesso di fremere nell’attesa di una riunione tra psicologi. Ma questa sera sì. Questa sera sono la prima ad essere arrivata, e per ora anche l’unica. Controllo l’ora. 20 e 57. Lucia e Sergio non sono nemmeno in ritardo, sono solo io estremamente in anticipo. E questo la dice lunga. Servono più spesso pazienti come Cecilia per farmi superare il mio ritardo cronico.
Sento le loro voci giungere dalle scale. Non li lascio quasi entrare, che li assalto verbalmente:
- Dai venite, sedetevi.
- Sì, ma calmati – mi ammonisce subito Sergio, che come al solito non si lascia scappare occasione per punzecchiarci.
- Marti, a cosa dobbiamo questa fretta? – domanda Lucia, che nel frattempo prende posto sul divano del suo studio accanto a me. Mentre Sergio si accomoda su una delle due poltrone davanti a noi.
- Devo parlarvi di Cecilia. Una mia nuova paziente che ho visto oggi per la prima volta.
- Un primo colloquio e finisce già dritta in intervisione. La cosa si fa interessante. – come avevo previsto Sergio si è illuminato subito.
- Allora, Cecilia, 26 anni, viene da me perché ha paura di essere intelligente. – e sgancio così la bomba.
- Come scusa? – chiede perplessa Lucia.
- Più o meno la mia stessa reazione. In pratica, Cecilia vive nel terrore di scoprire di essere intelligente, ed evita qualsiasi cosa che possa confermarglielo. Ad esempio, se si accorge che sta pensando a qualcosa, riflettendo, formulando ragionamenti si interrompe e sposta il suo pensiero su cose stupide, frivole, banali e che non richiedono concentrazione, e di solito apre i social e guarda video di gatti.
- No, va beh, ci stai trollando. – mi sminuisce subito Sergio. – con la cosa dei gatti ti sei giocata tutta la tua credibilità.
- E ti piacerebbe. Devo aver fatto anche io un’espressione non convinta quando me lo ha detto, e lei ha subito preso lo smartphone, aperto Facebook e mostrato la sua home: c’erano gatti! Tanti gatti! Questa ragazza è un insieme di tutti gli stereotipi più diffusi. Tutti insieme.
- Tipo? – chiede incuriosita Lucia
- Tipo, si tinge di biondo pur essendo castana, perché si sa che le bionde sono più stupide. Porta solo lenti a contatto, perché gli occhiali sono da secchiona. Segue alcune influencer per sapere come vestirsi ed essere uguale alla massa.
- E qual è il problema? – mi chiede Sergio
- Che non lo fa perché le piace, lo fa perché deve! Ed è lei stessa ad imporselo, si è costruita una rigida struttura di cosa da fare e non fare, da seguire scrupolosamente ogni giorno, da almeno quindici anni. È il suo modo per conformarsi e non distinguersi dagli altri, stare in società senza essere emarginata. Cosa di cui ha il terrore, e forse la vera cosa che teme è questa. Come se ci fosse un collegamento diretto e indissolubile tra l’essere intelligente e l’essere emarginata. Quindi se vale la regola “se sei intelligente, sei emarginata”, lei ha scelto di contrastarla agendo seguendo questa “se non sono intelligente, non vengo emarginata”. E da qui tutti gli stereotipi messi in atto legati all’intelligenza: capelli biondi, lenti a contatto. Ma non si è fermata a questo. Non era sufficiente. Aveva bisogno non solo di cosa non essere, ma anche di come essere. Ed ecco la sua logica: seguo tutti gli stereotipi possibili su come dovrei essere, su come dovrebbe essere una donna e così mi tengo al riparo da qualsiasi critica e vengo accettata da tutti.
- E perché il suo punto di partenza è la paura solo dell’intelligenza? – prosegue il mio collega psichiatra.
- Perché è riuscita ad adattarsi a tutto, capelli, abbigliamento, conversazioni… tranne che al pensare meno, al chiedersi meno le cose e ad essere più veloce degli altri ad apprendere e risolvere le cose. È riuscita ad adattarsi a tutto quello che è superficie e visibile, ma non al suo modo di pensare, e teme di potersi tradire da sola, dire qualcosa che non dovrebbe, qualcosa di troppo intelligente che gli altri non capiscono, che possa meravigliare se detto da lei. Ha passato la vita a trattenersi, e inibirsi. Per lei la soluzione migliore sarebbe quella di essere stupida.
- O è un fottuto genio a cui hanno tarpato le ali fin da piccola. O è matta come un cavallo. – chiude senza mezzi termini Sergio. E il suo era il commento che mi aspettavo fin dall’inizio.
- Qui vi volevo! Come mi muovo? – chiedo ai colleghi.
- Se le proponi una Wais? – azzarda Lucia.
- Ma sì! Tanto vale proporle di iscriversi al Mensa già che ci siamo. Abbiamo una ragazza terrorizzata da una cosa e la buttiamo direttamente nella fossa dei leoni. – con impeto Sergio.
- Mi sono chiesta come poter inquadrare questa sua paura. Pur mostrando tratti rigidi e ossessivi nel modo in cui mette in atto stereotipi e comportamenti, il tuo timore di essere intelligente non è un’ossessione, perché non è intrusivo, ma compare solo quando si accorge della differenza con gli altri, e si inibisce bloccando il proprio comportamento e evitando poi in seguito situazioni simili. Non è un falso sè, né un disturbo di personalità perché è egodistonico, e lei lo porta con malessere…quello che forse manca è la percezione di chi lei è davvero, ma credo che non lo abbia mai sperimentato – confesso ai colleghi, poi proseguo dando voce alle mie elucubrazioni del pomeriggio – dal suo racconto odierno, mi sono fatta un po’ questa idea. Seguitemi nel ragionamento. Supponiamo che da piccola le sia stato fatto notare che non va bene, che non è vantaggioso per una femmina essere intelligente, che sono altre le qualità che deve sviluppare. O peggio che abbia ingenuamente mostrato le sue capacità e sia stata svalutata pubblicamente. Immagino a scuola o in famiglia, frasi stereotipiche comuni della serie “devi andare bene a scuola, ma non fare la saputella”. Non che sia giusto, ma non è strano che possa essere successo. Considerando che Cecilia è una bambina molto intelligente, cosa fa? Si adegua. Segue le indicazioni che le danno, le comprende e le mette in atto. E lo fa molto bene. Oggi è una donna adulta, diplomata con un lavoro da segretaria in uno studio legale. Fidanzata con un uomo più grande che si prende cura di lei, forse un po’ narcisista da quello che ho colto, ma non è questo il punto. Bella, ben curata. Raggiungendo esattamente quello che ci si aspettava da lei, né più né meno. Non ha tradito le aspettative, e non ha brillato. Possiamo dire che ha messo in atto in maniera adeguata ed efficace le risorse che ha a disposizione. È integrata e accettata da tutti. Forse un po’ infelice o insoddisfatta, ma è il ruolo della donna che le hanno insegnato, e il sacrificio è parte dell’essere un domani una brava moglie e madre. Sto ragionando per stereotipi eh. L’unica cosa che non ha fatto, ancora, è quello di mettere in discussione l’idea di partenza.
Un breve silenzio segue al mio discorso. E io sono soddisfatta.
FINE PRIMA PARTE